Il Natale di quando ero piccola ( Prima puntata.)
Le ragazze dell’Associazione “ Donne 99” di Tito raccontano il Natale.
In questo periodo natalizio l’Associazione “ Donne 99” di Tito continua a raccontare storie per costruire ponti tra le generazioni. Ricordare ai piccoli, ai più giovani il Natale di una volta, forse può dare senso vero e profondo significato ai giorni che stiamo vivendo in attesa della nascita del Salvatore. Come sempre con semplicità sincera a Voi lettori queste donne mostrano il loro animo. Accoglietele e fateci sapere cosa ne pensate.
Comincia Maria Triani.
Dire che il Natale è la festa più dolce dell’anno non è una frase fatta, ma ciò che ben esprime lo stato d’animo di ognuno, le emozioni, quella specie di struggimento che fa desiderare che quel periodo duri tutto l’anno. Se frugo tra i ricordi, li ritrovo nitidi. Mi rivedo bambina e, come se si proiettasse un film, rivivo, scena per scena, tutti i momenti più belli.
Il Presepe
A casa mia, nei primi giorni di dicembre, noi bambini insieme a mamma andavamo nello scantinato a prendere gli scatoloni contenenti gli addobbi per allestire il presepe e l’albero di Natale. Ci procuravamo quotidiani da appallottolare per creare le montagne; andavamo a raccogliere il muschio, non quello che sembra velluto, ma l’altro, quello più rigoglioso. Quando eravamo molto piccoli lo raccoglieva papà, poi avevamo notato che non lontano da casa nostra ne cresceva tanto in una zona ombrosa, e allora partiva la spedizione dei cinque: io, mio fratello Tanino e le mie sorelle Margherita, Palmina e Franca. Muniti di buste di plastica, facevamo a gara per raccogliere il muschio più bello, e prima di portarlo a casa, lo pulivamo da foglie e rametti secchi. Finalmente, il giorno dell’Immacolata, in un angolo del soggiorno, sistemavamo un tavolo, lo ricoprivamo di carta per pacchi marrone e cominciavamo a creare il paesaggio. Fissavamo la carta appallottolata per le montagne, scatole vuote per le botteghe degli artigiani e la grotta che avrebbe ospitato la Sacra Famiglia. Fissavamo il tutto con lo scotch e ricoprivamo con carta roccia. In un angolo creavamo la cittadina di Betlemme, sistemando le casette, che sarebbero state illuminate dalle lucine. Tracciavamo le strade che da ogni bottega e da ogni casa avrebbero portato alla Capanna. Sulle strade sistemavamo tanti sassolini; tra due montagne, con la carta velina celeste, creavamo una cascata di acqua che si allargava in un laghetto, dove alcune paperelle nuotavano, e le pecorelle si abbeveravano. Infine, ricoprivamo di muschio gli spazi liberi, mettevamo i personaggi: gli artigiani nelle loro botteghe e gli altri pastori lungo la strada che portava alla capanna. Dietro le montagne, infine, si sistemava un foglio di carta che rappresentava il cielo stellato, trapuntato di lucine che davano un’idea più realistica delle stelle. Una spolverata di farina, che rappresentava la neve, completava l’opera. Appena imbruniva, si accendevano le luci, e noi bambini ci incantavamo a guardare il nostro capolavoro: spostavamo un po’ i pupazzi, perché la scena sembrasse diversa, più viva, coprivamo le finestre di alcune casette con una tendina di carta, immaginando che fossero andati tutti a dormire. Mamma ci lasciava fare, non ci rimproverava, e noi giocavamo, inventando piccole storie.
L’addobbo dell’albero di Natale avveniva nel pomeriggio dell’Immacolata, perché la mattinata era destinata all’allestimento del presepe. Il nostro abete era finto e veniva sistemato in un altro angolo del salone, la stanza più grande della casa. Dopo aver allargato tutti i rami e controllato il funzionamento delle varie serie di luci, papà sistemava lampioncini, sfere, stelline e angioletti. Dopo le luci, ognuno di noi piccoli metteva le palline colorate: le più piccole sui rami superiori, le medie al centro e sotto le più grandi. Peccato che allora le palline erano tutte di vetro e spesso capitava che ci sfuggissero di mano e si rompessero. Allora sì che arrivavano i rimproveri e le esortazioni a prestare più attenzione. Dopo le palline, si appendevano all’abete le cioccolate di varie forme e ognuno di noi già sceglieva quelle che avrebbe scartato il giorno della Befana (giorno in cui si disfaceva l’albero). Alla fine si sistemavano i fili argentati che si snodavano come una trina tra i rami dell’abete e sulla cima mamma o papà mettevano il puntale. Anche l’albero, come il presepe, si accendeva ogni pomeriggio e si spegneva quando andavamo a letto. Noi bambini passavamo dal presepe all’albero, ci sedevamo intorno e osservavamo rapiti l’intermittenza delle luci.
Quando ero piccola, il panettone con uvetta e scaglie di cioccolato lo preparava mamma, insieme al croccante di mandorle, ai panzerotti ripieni di ceci e cioccolato, alle frittelle (scarpèddë) e alla torta.
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