Il Natale di quando ero piccola (sedicesima parte)
Carmen Gangi partecipa all’iniziativa dell’Associazione “ Donne 99” di Tito con questo racconto.
QUANDO GESU’ BAMBINO NASCEVA IN VIA CICCOTI.
Tutto aveva inizio l’otto dicembre, festa dell’Immacolata Concezione.Mamma apriva le scatole di cartone nelle quali era conservato il piccolo mondo del presepe con il quale, ogni anno, casa nostra diventava una suggestiva e tenera immagine di Betlemme. I suoi gesti erano quasi liturgici, non troppo solenni. Un’esperienza di ingenua catechesi per farci sentire coinvolti nel ricordo della nascita di Dio che si fece uomo, tra lo stupore di alcuni pastori e l’inconsapevole generosità di un bue e un asinello che gli cedettero mangiatoia e paglia per i suoi primi vagiti.
A casa mia, era mia sorella a cedere il suo divano letto per fare spazio a Lui e al suo presepe. Fissavamo il cielo stellato di carta con le punesse. Creavamo le montagne, avendo come modello quelle che guardavano Potenza dall’alto della Sellata. Facevamo il pavimento con il muschio fresco che un contadino vendeva di casa in casa. Sistemate le luci, passavamo alla realizzazione della grotta, che puntualmente aveva come struttura la culla di legno del mio bambolotto. Un gesto che mi faceva sentire generosa come il bue e l’asinello.
Mamma lasciava alla nostra fantasia la collocazione delle case di cartone, dei laghetti, dei ponticelli con gli steccati e delle statuine. Ci aveva insegnato a rispettare le prospettive: ciò che si vedeva da lontano doveva essere necessariamente più piccolo. Magico il momento in cui svegliavamo le statuine dal loro luogo letargo. Nel prenderle, una alla volta, con la dovuta delicatezza, prima di sistemarle nel posto riservato a ciascuna, parlavo con loro: “Come avete trascorso il tempo in attesa di tornare a vivere nel nostro presepe? Avete chiacchierato tra voi? Avete giocato con Gesù Bambino? Che gioco avete fatto?… La Madonna gli canta la ninna nanna?… E San Giuseppe gli fa qualche giocatolo di legno?…
Ero convinta e felice di dialogare con le statuine: la donna con il paniere pieno di uova mi rassicurava sulla loro freschezza… la ragazza con la brocca d’acqua mi invitava sempre a berne un poco e io la sentivo fresca come quella della fontana dell’Epitaffio…la nonna che filava la lana ogni anno prendeva le misure per farmi uno scialletto… la giovinetta che portava le ochette allo stagno, dove era certa di incontrare il suo pastorello, mi chiedeva, se avessi anch’io un posto dove incontrare il mio amore… al taglialegna chiedevo se era lui a rifornire i contadini che periodicamente venivano a vendere la legna nel rione di Santa Maria e al suonatore di cornamusa di farmi sentire “Tu scendi dalle stelle”…il pastore Benino mi dava sempre qualche consiglio per imparare a stupirmi di fronte alle realtà belle
Il momento più importante era quando liberavamo dagli involucri di carta i protagonisti principali del presepe, Giuseppe, Maria e il Bambinello. A quel punto io mi fermavo estasiata a contemplarli e immaginavo di far parte della santa Famiglia, anche perché pure il mio papà si chiamava Giuseppe: forse i consigli di Benino cominciavano a dare i primi frutti…Poi toccava al bue e l’asinello, le loro guardie del corpo, armate di mansuetudine e disponibilità…
E infine “Curiosolina” la mia stellina fatta con il cartone di un vecchio scatolo. Era curiosa e fingeva di non essere interessata a quello che si dicevano le nuvole e le stelle, specie nelle lunghe notti d’inverno. La sua curiosità la portava anche a guardare tutto ciò che accadeva sulla terra. Un giorno scivolò su una nuvola piena di neve, perse l’equilibrio e patapunfete cadde su una grotta. Non capì dove fosse finita. Lo capì dopo essersi leccata le ferite.
Una stellina un po’ ammaccata, come si ammaccavano spesso i miei sogni. Per questo mi era tanto cara:“aver compagno al duol scema la pena…” Il suo posto era sul tetto della grotta, accanto a Stella Cometa, di cui si vantava, con ingenua presunzione, di essere nipote. Da quella postazione privilegiata adorava il Bambinello e ci insegnava il vero senso del Natale, come la mia mamma.
Il giorno dopo tiravamo fuori i Re Magi nelle lunghe vesti che sistemavamo nell’angolo del presepe più lontano della grotta. Dovevano arrivare da lontano per salutare il potente Re della terra. Ogni giorno facevano un passo avanti nel mio presepe, con l’aiuto delle mie mani: salivo su uno scanno e mi allungavo fino all’impossibile per farli avanzare.
Il presepe si animava con l’inizio della Novena a Gesù Bambino, quando in città arrivavano gli zampognari, con i loro mantelli a ruota e gli stivali con le stringhe. Suonavano di casa in casa “Tu scendi dalle stelle” e altri motivi sconosciuti, ma teneri come ninne nanne. Una meraviglia! Mi emozionava vedere gonfiarsi le sacche di pelle di pecora, ma un po’ mi impauriva: temevo che potessero scoppiare da un momento all’altro. Nel nostro condominio, gli zampognari arrivavano di pomeriggio, quasi aspettassero che uscissimo da scuola.
Ricordo le mie corse precipitose per arrivare in tempo e godere del suono melodioso delle zampogne. Noi bambini li seguivamo, in religioso silenzio in tutte le abitazioni del palazzo di via Ciccotti. Quasi un pellegrinaggio di suoni e preghiere che faceva arrivare l’eco dell’annuncio della Buona Novella anche ai malati ricoverati nel vicino Ospedale San Carlo. Loro che più di noi avevano bisogno di buone notizie dai medici che li avevano in cura.
Il nostro pellegrinaggio era interessato. Tra noi bambini avevamo organizzato un concorso senza pretese per scegliere il presepe più bello tra quelli fatti nel nostro palazzo. A ognuno che vedevamo davamo un voto. Davanti a ognuno mi chinavo fino a sfiorare tutti i personaggi, per sentire se parlavano come i miei. Niente. Silenzio da notte santa. Da notte nell’attesa di Gesù Bambino…eppure il mio non ha mai vinto, ma per me era sempre e comunque il più bello. Le sue voci di dentro le sentivo tutte e solo io. Gli alti no, evidentemente, perché giudicavano l’aspetto esteriore, che a me non interessava. Io guardavo sempre oltre ciò che vedevano i miei occhi. Se ci si sofferma sulle apparenze, chi crederebbe che un bambino deposto in una mangiatoia, su paglia usata da un bue e un asinello, potesse essere il figlio di Dio?
In seconda elementare la maestra Giulia mise in scena come recita di Natale: “La notte Santa” di Gozzano. Mi piacque subito e tanto. Avrei voluto impersonare il ruolo della Madonna, ambito da tutte noi bambine, ma non fu possibile. La maestra mi disse che ero troppo alta per un San Giuseppe interpretato da un bambino piccolo e minuto. Interpretai l’Ostessa dei Tre Merli, che non poté dare alloggio alla Madonna, seppure quasi pronta al parto. L’albergo era già pieno di gente importante. Soffrii di questo rifiuto alla Mamma di Gesù e per questo decisi che anche nel mio presepe, da quell’anno, ci fosse l’osteria dei Tre Merli con tanto d’insegna.
La sera, mamma accendeva le luci del presepe e io mi incantavo per ore. Pregava il mio cuore puro, trovava ordine ai pensieri e raccoglimento. Era il miglior modo di rendere gloria a Gesù. Un presepe itinerante il mio, come i miei pensieri. Mi sentivo di gesso anch’io come le statuine, a cui cambiavo posizione e ruoli a mio piacimento. I pensieri di una bambina che aspettava la vigilia del Natale con il cuore colmo di gioia. Al rintocco della mezzanotte toccava a me, la più piccola, portare tra le mani in processione il Bambinello per tutta la casa, intonando “Tu scendi dalle stelle…” . Un segno di benedizione prima di deporlo nella grotta.
Ci avrebbe pensato Gesù Bambino, mentre dormivo con la sua luce negli occhi, a riempire di buoni propositi e caramelle le tasche della mia vestina. Il giocattolo sarebbe arrivato all’Epifania che tutte le feste portava via. Portava via le statuine della festa, non il loro messaggio:
Natale/è una luce/che brilla/e fa capriole/
e fa dell’aria/sbalordita
Amore.
Carmen Cangi
Potenza 8 gennaio 2022