Raccontare storie per costruire ponti con UNICEF Potenza( 7^ puntata )
Dopoguerra: i ricordi di una bambina di Luisa Salvia di anni 71.
“ Sono nata nel 1951 in una famiglia di contadini benestanti. Mio padre era stato in guerra, mia madre coltivava i terreni che aveva avuto in eredità e aiutò anche mio padre dopo la guerra per alcuni anni. Tutto proveniva dalla terra per cui non compravamo quasi nulla e per questo non avevamo patito durante la guerra. Mia sorella, di poco più grande di me, certo ricorderà meglio il ritorno di mio padre. Io mi avvalgo dei racconti e dei ricordi di vita passata di quando avevo quattro, cinque anni.
Ricordo un armadietto in camera da letto, dove scoprii una cassetta di rame con dentro una maschera antigas che all’inizio mi faceva paura; degli scatolini con dentro pasta dentifricia e altre con crema da barba. C’erano inoltre garze e fasce mediche, bottoni e spago. Era un trofeo di guerra e ogni tanto la aprivo ed ero felice quando poi capii che mio padre aveva avuto la fortuna di ritornare ed essere vivo. Aveva con sé tre foto: una da solo con la divisa, stivaloni, pantaloni alla zuava, due con altri soldati. Io le guardavo ammirata ogni giorno e ogni giorno pensavo alla guerra come una brutta cosa.
Sia mio padre che mia madre avevano altri nove fratelli e sorelle, perciò era facile che ci ritrovavamo in tanti a casa dei nonni la sera, e si raccontavano fatti dei terreni, di raccolti, di nuove semine, di animali allevati. Ciò che però mi affascinava di più erano sempre i racconti della guerra poiché molti zii avevano vissuto la triste esperienza. A casa dei nonni paterni, essendo presenti figli, nuore, generi, specie di sabato sera, c’era l’usanza di sedersi in cerchio intorno a un grande camino, il nonno attizzava il fuoco e quando era il momento, diceva a mia nonna di prendere la fiaschetta con il vino e iniziava il rito di passarla dall’uno all’altro, bevendo dal cannetto. Le mogli e le figlie non erano incluse nel giro, solo acqua e qualche nocciola e castagna.
Mio padre raccontava dei nascondigli in trincea, delle ferite che si era procurato per non combattere per alcuni giorni, il ritorno ricco di particolari che ai miei occhi sembrava quello di un eroe. Ce l’ho ancora nelle narici quel profumo di fuoco scoppiettante, di tabacco, di armonia familiare.Ad un certo punto mio nonno cominciava a coprire il fuoco con la cenere, spegneva la sua pipa, scioglieva i lacci delle scarpe e tutti capivamo che era ora di tornare nelle proprie case, dopo averlo salutato baciandogli la mano: era un atto dovuto, un segno di amore e di rispetto, senza abbracci o altro genere di effusioni.
Durante i racconti con gli altri famigliari non mancava che qualcuno intonasse qualche canto di guerra : si leggeva sui loro volti la sofferenza, la tristezza per aver dovuto abbandonare la casa, la famiglia. Il dolore per quanti non erano più tornati, e le serate che al freddo e al gelo piangendo intonavano canzoni a conforto di una tale tragedia per l’umanità. Anche questi canti, giunti fino a noi, sono testimonianza viva e patrimonio per le nuove generazioni che hanno il dovere morale di sapere chi erano i nonni, i bisnonni, e tutti i vecchi che hanno tanto patito.
“Sento il fischio del vapore/del mio amore che va via ./ E’ partito per l’Albania, / chissà quando ritornerà./ A rapporto signor capitano ( tre volte) /in licenza mi deve mandar…/ Il bersagliere ha cento piume / Ma l’alpino ne ha una sola/ Il capitano della compagnia, / è partito e sta per morir, / e manda a dire ai suoi soldati/ che lo vengano a seppellir.
Molte di noi che raccontiamo in questi pomeriggi con Unicef Potenza e tante socie dell’Associazione “ Donne 99” abbiamo ricordi comuni della nostra infanzia, dell’asilo dalle suore., Scavone Filomena, Greco Marisa, Scavone Filomena Coronato, Angela Scopa, Titina Perrone, dall’età delle scuole elementari frequentavamo anche l’Azione Cattolica. Si cominciava con Piccolissime, Aspiranti, Giovanissime e oltre al catechismo si facevano giochi, merende, piccole uscite sul territorio. C’era anche la festa del tesseramento,per cui già allora l’idea associativa ci accomunava.
Verso il 1960 si aprì un centro di lettura gestito da un maestro speciale Carlo Spera e lì, oltre le tante iniziative, iniziammo l’arte della recitazione e del teatro. Tutte noi interpretavamo opere di Pirandello, di De Filippo, come mostra la foto, e non ultima la rievocazione del 1799 con i fatti avvenuti a Tito con la nostra eroina Francesca Cafarelli. Arriviamo così agli anni 60–70.