Raccontare storie per costruire ponti. ( Anno secondo). (10)

Continua la riproposizione dei racconti delle tradizioni pasquali dell’Associazione “ Donne 99” di Tito.

Mario Coviello
6 min readMar 27, 2023

Maria Triani dell’Associazione “ Donne 99” di Tito e i suoi ricordi sulle tradizioni pasquali a Tito.

Mi chiamo Maria Triani e ho 68 anni. Tanti sono i miei ricordi di bambina, legati al periodo della Quaresima e alla Santa Pasqua. Adesso provo a raccontarvene qualcuno.

I sepolcri

In casa mia, allora come ora, preparavamo i sepolcri. In un contenitore sistemavamo l’ovatta bagnata e sopra mettevamo i semi di grano e le lenticchie, dopo averli tenuti tutta la notte a bagno in acqua. Il contenitore veniva sistemato in un mobile e ogni due o tre giorni s’innaffiavano i semi. Dopo una settimana spuntavano le piantine, che crescevano giorno dopo giorno ed erano di colore giallo, perché al buio non avveniva la fotosintesi clorofilliana, e per noi bambini era una magia.

La mattina del giovedì santo, il sepolcro veniva abbellito, il contenitore si ricopriva con la carta crespa che veniva fermata da un grande fiocco, tra le piantine mettevamo anemoni e fresie di vari colori. Portavamo il sepolcro in chiesa e lo sistemavamo sull’altare della reposizione e nel pomeriggio, dopo le funzioni tipiche del giovedì santo, visitavamo tre chiese, recitando in ognuna delle preghiere. Il sabato santo andavamo a riprendere il sepolcro e ne davamo un ciuffetto a chi ce lo chiedeva perché non lo aveva fatto, in segno di benedizione. Mamma ne conservava un poco in un cassetto e quello che restava lo dava ad un contadino, che lo metteva nel terreno coltivato, sempre come buon augurio per un raccolto abbondante.

Le Palme

Quando ero piccola, qualche giorno prima della domenica delle Palme, mamma si procurava, da amici che vivevano in campagna, dei rami d’ulivo, che dipingevamo con la vernice dorata o argentata. Quando la vernice era asciutta, i rami di ulivo li abbellivamo con fiorellini di carta velina e nastrini colorati. La domenica delle Palme andavamo in chiesa col nostro mazzetto di rami di ulivo, che durante la messa il sacerdote benediceva. Una volta a casa, una palma si metteva dietro la porta d’ingresso in segno di protezione e le altre si scambiavano con i vicini e con i parenti in segno di pace.

Il precetto pasquale

Il mio primo precetto pasquale risale al 6 aprile 1966. Frequentavo la prima media e non avevo fatto ancora la prima comunione, perché aspettavo di farla insieme a mia sorella Margherita, più piccola di me di due anni.

Quando ne parlai con don Luigi, il mio insegnante di religione, mi disse che se avessi voluto, avrei potuto fare la mia prima confessione e quindi la prima comunione in occasione del precetto pasquale che si sarebbe tenuto a scuola. Accettai felice e quando arrivò il gran giorno, mentre scendevo in palestra, trasformata per l’occasione in una piccola chiesa, avevo il cuore che mi batteva forte per l’emozione. Ricevere Gesù nell’ostia consacrata mi procurò una grande commozione. Non vedevo l’ora di tornare a casa per gridarlo felice a tutta la famiglia. Quando lo feci, mi guardarono increduli, pensavano che scherzassi e grande fu la meraviglia di mamma perché ricordava quanto avessi fantasticato sul mio abito bianco, la festa e i regali. Poi capì che per me era stato importante ricevere Gesù, il resto non contava niente, così mi strinse in un abbraccio che diceva tutto.

Il pranzo di Pasqua

La mattina di Pasqua, mentre il profumo del ragù si diffondeva in tutta la casa, noi ragazzi facevamo colazione con la pizza rustica, una focaccia ripiena di ricotta, salsiccia, scamorza fresca, uova, formaggio e prezzemolo. Piaceva tanto a tutti e mamma Vita ne preparava sempre due grandi, perché potessimo gustarle anche a Pasquetta. Andavamo a messa e al ritorno ci recavamo dai vicini per lo scambio di auguri. Tutti offrivano i biscotti preparati nei giorni precedenti, anche noi ricevevamo la loro visita ed eravamo orgogliosi di offrire ciò che avevamo preparato insieme a mamma: erano savoiardi, cantuccini (i stòzzë) e plum cake (i biscòtt’indi ccartinë). Finalmente arrivava il momento del pranzo e si apparecchiava la tavola con la tovaglia più bella. Al centro si disponevano uova sode, salumi, formaggi, olive, peperoni ripieni, da gustare col pane di Pasqua.

Quando ero piccola lo preparava il mio papà Enrico, che faceva il panettiere; era un pane a forma di ghirlanda (u tòrtënë), all’interno c’erano le mandorle e all’esterno erano incastonate, lungo la circonferenza, le uova sode. Era un antipasto a cui seguiva il primo piatto a base di lasagna al forno o cannelloni o ravioli. Questi tipi di pasta si alternavano tra il pranzo delle Palme, quello di Pasqua e quello dell’ottava di Pasqua. Seguiva la carne al ragù e poi il re della tavola: l’agnello, cucinato al forno con le patate, in pentola alla cacciatora e in fricassea, per noi “caš’e uóvë”. I contorni erano vari: insalata verde, funghi fritti, peperoni friggitelli e peperoni arrostiti. Si concludeva il pranzo con la frutta, i biscotti e la torta ripiena di crema pasticcera. Per noi bambini arrivava il momento più bello: quello in cui potevamo aprire il nostro uovo di Pasqua e trovare la sorpresa.

Pasquetta

Il giorno di Pasquetta, quando ero piccola, lo trascorrevo in casa con tutta la famiglia. Si consumavano i resti del pranzo di Pasqua e si preparava nuovamente l’agnello, questa volta arrostito. Quando ero adolescente, invece, negli anni ’70, con gli zii tutti sposati e motorizzati eravamo soliti trascorrere la Pasquetta all’aperto, nel bosco.

C’era mio zio Donato, cacciatore, che conosceva un bel posto pianeggiante vicino ad una fontana. Arrivavamo in comitiva, eravamo circa 20 persone; si stendevano le coperte sull’erba e si posizionava “a furnacèdda” per arrostire la carne in un posto riparato dal vento, mentre sul tavolo, che si montava sul posto, si sistemavano tutte le pietanze portate da casa. Sbocconcellando fette di pizza rustica e panini con la frittata, passeggiavamo nel bosco, alla ricerca di qualche fiore e cercavamo di indovinare i nomi delle piante. I maschietti giocavano a pallone e noi femmine coi tamburelli. Nel pomeriggio, nell’attesa di arrostire nuovamente la carne, si raccontavano episodi di famiglia e intonavamo canti accompagnati dalla chitarra. Poteva capitare che venisse a piovere, allora raccoglievamo tutto in fretta e ritornavamo a casa stanchi, ma felici.

Negli anni le cose sono cambiate, le famiglie si sono allargate ed è più difficile stare tutti insieme nei giorni di festa. Noi fratelli riusciamo comunque ad incontrarci almeno per una festa e fino a tre anni fa trascorrevamo la Pasquetta a casa di mia sorella Margherita. Abitava in una grande casa in campagna e avevamo tanto spazio al coperto e all’aperto. Si cucinava tutti insieme, si scherzava, si ballava e cantava in allegria. La sua prematura scomparsa e la pandemia da Covid19 hanno spento la nostra voglia di divertirci, perché sono tanti i ricordi che riaffiorano e ci fanno stare male. Il tempo e le cose belle che nel frattempo accadranno saranno la nostra medicina.

Tito 4 aprile 2022 e 28 marzo 2023.

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Mario Coviello
Mario Coviello

Written by Mario Coviello

Dirigente Scolastico in pensione e Presidente del Comitato Provinciale di Potenza dell’Unicef. Racconto quello che faccio e che vedo. Leggo passeggiando.

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