Raccontare storie per costruire ponti con UNICEF Potenza.( 17^ puntata.)
Lina De Bonis dell’Associazione “ Donne 99” di Tito si racconta ( versione scritta dalla protagonista ).
“Io sono Lina De Bonis , ho 63 anni e sono una maestra in pensione dal primo settembre 2021. Ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare tutti e quattro i nonni, paterni e materni. Essi vivevano a Pietragalla, mentre mia madre e mio padre, dopo il matrimonio, si erano stabiliti a Potenza.Periodicamente, andavamo a far loro una visita.
Mio nonno Michele era il padre di mio padre,era nato il 1900, sapeva leggere e scrivere. Sua moglie Donata, nata nel 1904, era analfabeta, la chiamavano “nonna piccola” perché era di bassa statura.Quando andavamo a casa sua era solita dire , per invitarci a mangiare con loro, “ Voglio friggere un uovo ? “, “ Voglio prendere un capo di salsiccia ? “
I miei nonni materni erano “ più giovani”, nonno Teodosio era nato nel 1916,nonna Maria era del 21. Entrambi sapevano leggere e scrivere, ma in età adulta e quando già erano nonni, avevano frequentato la scuola popolare per prendere la licenza elementare.
Nonna Maria la chiamavano “nonna grossa” per il suo corpo robusto, pesava 110 chili. Mio nonno Teodosio mi diceva “Mangia così diventi grossa come tua nonna” ( E io purtroppo l’ho accontentato! ).
Ero molto affezionata a mia nonna: lei mi raccontava tanti fatti che a me piaceva ascoltare, mi trattava da adulta, mi faceva sentire importante e , spesso, si schierava dalla mia parte, anche contro mia madre che poi era sua figlia! Mi piacevano i suoi modi dire, i suoi proverbi che mi spiegava, e spesso mi trovo a ripeterli. imitando anche la sua espressione, almeno a detta di mia figlia Giovanna, che dice che sono proprio uguale a lei.
Allora, a Pietragalla, ci si sposava solo nel mese di agosto perché venivano i “turisti”, cioè i tanti emigrati a Torino e in altri luoghi per lavoro. In quel mese avevano le ferie, venivano qualche giorno per stare con i genitori e gli altri familiari, far conoscere nonni e nipoti fra di loro, fidanzarsi, sposarsi o partecipare a matrimoni di fratelli, sorelle, cugini o amici.
Il pranzo nuziale si svolgeva nella “ sala Pafundi”, unico locale del paese capace di contenere la presenza di tante persone. In serata, tutti gli invitati si divertivano ballando in coppia, perciò si spalancavano le porte perché faceva troppo caldo.
A mia nonna, come ad altre signore, piaceva vedere “i balli”. Così andavano davanti alle porte per ascoltare la musica, suonata dalla fisarmonica e guardare quelli che ballavano. Quando c’ero anch’io, mi portava con lei.Mi stancavo a stare tanto tempo in piedi, però mi piaceva tanto! Tornavamo a casa quando tutti si ritiravano.
Mio padre si chiamava Donato ed era andato a scuola fino alla classe terza. Da adulto cominciò a lavorare come infermiere in ospedale e frequentò la scuola serale per conseguire la licenza elementare. Mia madre aveva frequentato la scuola fino alla classe quinta, ma siccome non aveva il libro di religione, la rimandarono e non conseguì la licenza.
Quando mia madre era ragazza, i miei nonni materni abitavano in una casa composta da due stanze, su due livelli, collegati da una botola alla quale era appoggiata una scala a pioli, di legno. Non c’era l’acqua in casa ( si andava a prenderla alla fontana con barili, secchi e fiaschi ), né il bagno. I bisogni si raccoglievano in un contenitore che poi si andava a svuotare in una strada sterrata, chiamata “Neviera”, un pò lontana dalle case. Nella stanza al piano di sopra si dormiva, nella stanza sotto, trascorrevano la giornata, insieme al mulo, che aveva il suo posto dove stare, e alla galline, che giravano, libere. “ Certe volte aspettavi- mi diceva mia madre- che la gallina faceva l’uovo per poter comprare il famoso quaderno per la scuola, piccolo con la copertina nera.”
Tito 4 novembre 2021.