Raccontare storie per costruire ponti.Essere Madre (2)
Il secondo racconto sulla maternità dell’Associazione “ Donne 99 di Tito è di Maria Antonietta Greco. Buona lettura.
Mi chiamo Maria Antonietta Greco, sono nata a Tito e da molti anni vivo a Trento.
Mio marito nel nostro armadio conserva cravatte di tutti i tipi. Ci sono quelle più eleganti, quelle più colorate e quelle che non ha mai nemmeno indossato. Fra tutte ce n’è una in particolare che conserviamo gelosamente, che ci emoziona e ci fa ancora brillare gli occhi. E’ sottile, d’un verde militare, abilmente mangiucchiata in un punto ben preciso. E’ la cravatta che il mio compagno indossava il giorno in cui è nata Chiara e che ho stretto fra i denti durante le doglie del parto. Chiara è l’ultima dei mie figli, le gravidanze in totale sono state tre, tre esperienze una diversa dall’altra.
Quando ho scoperto di aspettare il primo figlio sono stata assalita da un miscuglio di emozioni, ma ero soprattutto incredula e perplessa. Anche se all’epoca i 30 anni erano già considerati un’età avanzata per avere un bambino, io personalmente avrei preferito aspettare, per avere più tempo per vivere la relazione con mio marito, per vagliare e soprattutto rendere solida la vita di coppia appena iniziata.
Il mio compagno e tutti intorno a me erano alle stelle, mentre io cercavo di avere un atteggiamento pacato, prudente. E’ stato poi col passare del tempo, nell’avvertire il processo di trasformazione del corpo che l’emozione è diventata sempre più forte ed intensa. Sentire il bambino muoversi nel ventre è una sensazione di una bellezza indescrivibile.
Alla fine degli anni ’70 tutto era un’incognita. Al di là delle visite ginecologiche di controllo e dei consigli dell’ostetrica non avevamo a disposizione un corso pre-parto da frequentare. Al tempo non c’era nemmeno l’ecografia, tutto era definito a sensazioni, anche il sesso del futuro figlio. Ci si basava sulla vaga percezione della forma della pancia, e a seconda della conformazione, poteva essere maschio o femmina. Nel mio caso tutti, nessuno escluso, dicevano che sarebbe nata certamente una femminuccia.
Il parto purtroppo è stato traumatico: giunto oltre la scadenza dei 9 mesi la bambina pesava più di 4 kg e aveva enormi difficoltà ad uscire. Fortunatamente nessuno dei due ha riportato conseguenze nonostante il ricorso al forcipe, all’epoca largamente usato in campo ostetrico e senza grandi remore da parte dei medici. Avrebbe potuto causare gravi danni, abbiamo rischiato entrambi, ma ce l’abbiamo fatta. Poi la sorpresa nello scoprire che la bambina che avevamo tutti immaginato in realtà era un lui. Non più Simona quindi, come l’avremmo chiamata, ma Dario. In quei nove mesi il desiderio più ricorrente che ricordo è la sete di birra. E poi, guarda caso, mio figlio è nato astemio.
Valentina è arrivata presto, dopo solamente sedici mesi dalla prima gravidanza. Il parto difficile di Dario mi aveva lasciato nel corpo importanti conseguenze. Ho sofferto molto e a lungo, e sarebbe stato preferibile aspettare prima di avere un secondo figlio. Dal primo al secondo parto è stato tutto diverso. Valentina è nata più facilmente, era piccola, talmente piccola quando è nata che avevo addirittura paura a toccarla. Era un minuscolo fagottino pieno di capelli neri, al contrario di Dario, biondo e pacioccone. Così minuta Valentina ha rischiato la vita a soli venti giorni dalla nascita.
Quel giorno abbiamo avvolto Valentina in una coperta per portarla il più velocemente possibile al pronto soccorso. Una volta arrivati però non la volevano accettare perché statisticamente per i medici era considerata già morta. Noi abbiamo insistito. Eravamo spaventati e non potevamo accettare una perdita così apparentemente banale. Io e mio marito non ci arrendemmo e continuammo a pregare i medici.
Grazie alla nostra tenacia, alla tempestività nei soccorsi e alla nostra insistenza, Valentina tornò alla vita. Quei dottori inizialmente restii nel curarla, presero a cuore la nostra piccolina e riuscirono a guarirla. Rimase tre mesi in incubatrice e io restai con lei tutto il tempo in ospedale.
In quei momenti mi sentivo però tranquilla perché sapevo che avevamo lasciato il peggio alle spalle, ora Valentina doveva solo riprendersi. In quel periodo fui costretta a lasciare il mio piccolo alle cure delle nonne. Io ero comunque felice, avevo avuto un maschietto ed una femminuccia, entrambi stavano bene, ma soprattutto Dario era protettivo con Valentina. Ero contenta che avessero un buon rapporto, non c’era gelosia fra loro. Crescevano in armonia.
Dopo tre mesi, finalmente libera, portai la piccolina direttamente al mare per godere di una giornata senza pensieri. Ricordo quel giorno come il primo momento di vita per entrambe.
Ho cercato di essere una mamma protettiva, capace di trasmettere principi solidi, sui quali non si transige. Ho provato ad abituarli alle regole e a non cedere ai capricci, alle richieste insistenti, ho cercato di insegnare loro ad essere se stessi, a pensare con la propria testa, ad inseguire l’umiltà, il rispetto di sé come degli altri. Fra me e mio marito quella più temuta dai figli ero io, perché nell’educazione ero la più severa.
Chi l’avrebbe detto che a quarantadue anni avrei vissuto una terza ed ultima gravidanza, un’esperienza completamente diversa, per età, luogo e servizi. Quando ebbi la fatidica notizia mi ero appena trasferita a Trento con due figli di dieci e undici anni. Li avevamo sradicati dal loro mondo e portati in un nord che per noi allora era lontano e sconosciuto.
Il ginecologo dicendo che avevo una nuova primavera in me provava gentilmente a rassicurarmi, ma io mi sentivo come se avessi appena perso la terra sotto i piedi. Mettere al mondo un figlio non è semplicemente partorire, significa allevarlo, accompagnarlo nel suo cammino di crescita ed io avevo paura per la mia età. Sarei stata capace di ricominciare? Avrei potuto sostenere di nuovo le fatiche che comporta un bambino piccolo, sarebbe nato sano? In più il mondo era diverso, era cambiato e io ero sola, senza l’appoggio della famiglia. Avevo paura per Dario e Valentina, temevo che non avrebbero accettato così facilmente la mai gravidanza, avevano già il trauma del trasferimento da smaltire. Poi, grazie al cielo, dopo i primi pensieri, è emersa la gioia.
La gravidanza è filata liscia ed ho avuto un importante sostegno da parte della sanità locale. Io e mio marito, diversamente dal passato, siamo stati seguiti attentamente e abbiamo partecipato ai corsi preparatori al parto.
La nostra famiglia poi è stata ben accolta dal nuovo quartiere, dalla parrocchia in particolar modo. La mia era una gravidanza che portava una nuova vita fra quelle strade dove di nascite non se ne vedevano da tanto. I vicini in Trentino mi sono stati accanto, si sono trasformati nella mia famiglia non mi hanno mai lasciato cadere nella nostalgia di casa. Anche Dario e Valentina hanno accettato poi la notizia, tant’è che il nome Chiara è stato scelto proprio da loro due.
E’ stato bello questa volta avere mio marito accanto durante il parto, emozionante per lui specialmente. Non aveva mai assistito alla nascita prima: negli ospedali del tempo non era consentito. Doveva nascondersi nei reparti e lusingare le infermiere per ottenere notizie e sapere qualcosa in più. Lo stare insieme in quel momento così importante mi ha dato coraggio. Pino mi ha sostenuta per tutto il tempo, ed io mi sentivo più felice e tranquilla.
Quando è nata Chiara è stata una grande festa, era la figlia di tutti quanti sia dei colleghi di lavoro, sia dei vicini di quartiere e dei parrocchiani. Anche al battesimo avevano voluto tutti partecipare per celebrare l’arrivo di quella nuova vita.
Senza grandi rimpianti, per dedicarmi alla maternità e concentrarmi sulla famiglia, ho lasciato il mio lavoro. In tutti questi anni ho cercato di far coesistere al meglio il mio essere donna e l’essere una madre. Non potevo permettere che il mio ruolo di mamma assorbisse interamente la mia persona. Crescere esclusivamente i figli non mi bastava e non mi sarebbe mai bastato.
Non potevo rinunciare alle altre mie qualità ed interessi e diventare una creatura monodimensionale. Non sarebbe stato sano ed era importante insegnarlo anche ai bambini. Le frustrazioni per le rinunce accumulate con il tempo di una madre, inevitabilmente si sarebbero riversate su di loro. Sarei stata una persona meno curiosa e intraprendente, incapace di trasmettere loro una visione del mondo sempre interessante. Se oggi sono figli indipendenti con una loro particolare visione delle cose è merito anche di questa mia forte convinzione.
Da questa prospettiva essere madre non è facile, purtroppo non c’è nessun libretto d’istruzioni che insegna come diventare bravi genitori, il più delle volte si sbaglia senza volerlo.
Fin da piccoli io e mio marito caricavamo i bambini in macchina e con gli amici li portavamo ai concerti e agli spettacoli, abituandoli ad essere flessibili e ad adattarsi ad ogni contesto e situazione, a relazionarsi con persone diverse. Probabilmente chi non mi conosce mi avrà giudicato una mamma menefreghista, ma sono felice di poter dire di non aver trascurato né i loro bisogni né me stessa. Ho accompagnato tutti e tre nei loro interessi, insegnato loro a perseguire le passioni e a non abbandonarle. Ancora oggi quando capita l’occasione continuiamo a fare esperienza insieme di tutto ciò che amiamo e condividiamo.
La maternità dal mio punto di vista è una condizione bellissima, un’esperienza meravigliosa ed allo stesso tempo estremamente complessa e difficile. E’ certamente nella natura femminile crescere ed allevare figli, ma non è così facile e spontaneo come si è portati a credere. Spesso l’essere madre, a differenza della paternità, viene confusa con un’idea fin troppo idealizzata, un concetto che tende poi a differire e a scontrarsi con quella che è la realtà quotidiana. Essere madre è un’avventura singolare, diversa per ciascuna donna, in cui il rapporto che si instaura con il figlio non è solido e immediato, va costruito giorno per giorno, bilanciando aspettative e speranze, gioie e frustrazioni. Significa stringere fra i denti quella cravatta, ancora e ancora e andare avanti.
Il ruolo rivestito da una madre comporta diverse funzioni: si è educatrici, insegnanti di vita, complici e consolatrici. Nel generare vita, si custodisce ciò che più di grande esiste al mondo, le responsabilità nascono immediatamente e le felicità, così come le preoccupazioni, viaggiano intrecciate, sempre.
Trento 7 luglio 2023.