Raccontare storie per costruire ponti.Essere madre (4)
Lina De Bonis dell’Associazione “ Donne 99” di Tito racconta.
Salve. Il mio nome è Lina De Bonis. Ho 64 anni e da circa due anni sono una maestra che “ha deposto le sue armi”, cioè la matita rosso/blu, nel senso che sono in pensione. Per me, essere madre, come tutte le cose della mia vita, non è stato semplice: ho dovuto aspettare e conquistare questo diritto che, per tante, è una cosa del tutto naturale. Mi sono sposata nel 1981 e, per i primi due anni, facevo ancora la pendolare per lavorare: tornavo a casa solo per un giorno alla settimana o per due giorni ogni due settimane, ma coltivavo lo stesso la speranza di scoprire di essere incinta ogni mese. Cosa che puntualmente non avveniva, anche se avevo dei “ritardi significativi” (una volta addirittura 54 giorni!).
Quando, vincitrice di concorso, cominciai a lavorare e poter tornare a casa tutte le sere, anche se facevo due ore di macchina di viaggio, mi sembrava di toccare il cielo con un dito e la speranza di diventare madre era ancora molto forte. Il tempo passava e niente cambiava.
Così cominciai a convincere mio marito(che era piuttosto riluttante) della necessità di fare entrambi visite, accertamenti e analisi diverse. Dopo varie cure e un po’ di anni giunse il responso: sterilità! Ci consigliarono di provare con la fecondazione in vitro, ma ci dissero anche che c’era solo il 35% di probabilità che funzionasse!
Per fortuna, per il mio lavoro, io stavo tutti i giorni con i bambini ai quali mi dedicavo con allegria e gioia come se fossero figli miei. Quanto mi facevano piacere i disegni, le letterine che mi scrivevano dicendomi che mi volevano bene, che ero “la maestra più brava del mondo”, che non mi avrebbero mai dimenticata… Questo in parte mi compensava, ma il desiderio di avere un figlio nostro che ci facesse diventare una famiglia, rimaneva. Noi eravamo solo “ Lina e Michele”, ai quali amici e parenti dicevano: — Ma si, dai, venite voi da noi che siete solo voi due!
Poi siamo diventati “zia Lina e zio Michele” anche per cognate e cognati che così ci indicavano ai loro figli quando cominciavano a parlare. Stavamo spesso con loro ed eravamo molto affezionati ai nipotini. Una volta una nipotina mi disse: — Ma perché mi dai tanti baci? Già…perché? Io avrei voluto provare la strada della fecondazione artificiale, ma mio marito non ne voleva sapere.
Un bel giorno tornò a casa e mi disse: — Che ne dici se facciamo la domanda per l’adozione? Gli risposi che se lui procurava i moduli, io avrei preparato i certificati occorrenti e avremmo fatto la domanda, ma era una cosa molto difficile che andasse a buon fine. Invece…dopo vari colloqui con assistenti sociali e psicologhe, in uffici, al tribunale dei minorenni e a casa nostra, arrivò poco prima di Natale (dono di Gesù Bambino?) una lettera nella quale ci comunicavano che “…eravamo idonei all’adozione nazionale e internazionale di uno o più minori”. Mio nipote Fabrizio, vestito da Babbo Natale ci portò la lettera e a lui la facemmo leggere. Quando lesse quell’ultima parte, esclamò: — Uno…solo uno! Perché temeva di perdere l’affetto di “zio Michele”!
Pensavamo di dover partire per praticare la strada dell’adozione internazionale e stavamo raccogliendo informazioni utili allo scopo. Un giorno ricevetti una telefonata dal tribunale, mentre ero a scuola: la psicologa mi disse che c’erano due sorelline che potevano essere date in affidamento. Specifico’ che “ …poteva anche andar a finir bene, ma per ora è solo un affidamento!” Telefonai a mio marito e glielo dissi. Lui, subito: — Hai detto di sì? Come facevo a dire di sì se tu non sapevi niente?
Ritelefonai in tribunale, dissi che accettavamo e prendemmo accordi. Così, il 21 giugno 1994, Angela e Giovanna sono “nate” per noi, cioè sono arrivate a casa nostra, nella nostra famiglia, nei nostri cuori. Mai, neppure per un minuto ho considerato l’ipotesi che avrebbero potuto andare via da noi per tornare dalla loro famiglia d’origine: loro erano le nostre figlie, a lungo attese e tanto desiderate. Infatti quando parlavamo dei figli che avremmo avuto, pensavamo a due femminucce!
Ma era “un affidamento”: il primo per sei mesi; il secondo per un anno; il terzo a tempo indeterminato . Ci vollero quattro anni prima che l’affidamento diventasse adozione! Non è stato facile, soprattutto in quei primi anni: eravamo diventati “una famiglia”, non per via naturale, ma per vie traverse…Sentire Angela, che aveva da poco compiuto sei anni e perciò raccontava della “sua mamma vera”, di episodi della sua vita precedente…era per me molto doloroso e, immagino lo fosse tantissimo anche per lei!
Giovanna, aveva solo quattro anni, aveva meno ricordi e per lei noi siamo stati da subito “ mamma e papà “! Una volta, eravamo in macchina, io stavo guidando, Giovanna mi disse: — Forse noi siamo andate in istituto perché tu dovevi venirci a prendere, mamma! Un giorno mio marito mi ha detto: — Se le avessimo fatte noi, non avremmo fatto meglio: Angela è “testa di patata” come me e Giovanna assomiglia a te!
La mia storia è lunghissima, ma “ vi ho pure trattati” perché, comunque, ho cercato di condensarla!
Non mi riesce proprio di essere sintetica.
Tito 17 luglio 2023.
🤷♀️