Raccontare storie per costruire ponti.Essere madre (6).
Luisa Salvia, presidente dell’Associazione “Donne 99” di Tito racconta.
ESSERE MADRE
Sono Luisa Salvia, anni 73, insegnante in pensione.
Scrivere mi è sempre risultato facile e piacevole. Oggi, però, mentre mi accingo a raccontare di me e dei miei due figli, mi risulta, dopo averci pensato per giorni e giorni, arduo. Penso che la commozione e l’affetto non siano sufficienti a farmi esprimere ciò che davvero ho vissuto e continuo a vivere al fianco di questi splendidi gioielli.
31 Luglio 1976 sposa, ottobre dello stesso anno, in attesa di un figlio. Felice e stupita, dopo che a tre mesi dal matrimonio, iniziavo a preoccuparmi a seguito di un consulto ginecologico che riscontrava evidenti rischi di infertilità. Fortunatamente, però, dopo poco, una apparecchiatura esistente nell’ospedale di Tricarico, smentì il parere medico! Al quinto mese, il prof. Lomeo, il medico da cui tutte le spose di quegli anni si recavano per essere seguite durante la gravidanza, si rivolse a me con queste testuali parole: “Signora Luisa, faccia un bel discorso con questa bambina, perché è in una posizione non consona e dalla quale non credo si sposti più. Tutto può accadere. Si prepari comunque a un parto cesareo”.
Fu così. Io aumentavo di peso, il feto cresceva, ma la mia pancia era ed è rimasta sempre più gonfia da un lato. Al nono mese, ricovero all’ospedale di Tricarico con contrazioni durate per giorni e giorni, prima dell’annunciato parto cesareo, fissato per una mattina di un luglio infuocato.
Fu così che sabato 2 luglio, due giorni prima del previsto, il giorno della festa della Madonna delle Grazie, un’infermiera mi venne a preparare, avvisata da casa dal Professore, il quale aveva deciso di aprire la sala operatoria, constata la necessità di intervenire subito. Fu chiamato l’anestesista Boezio e nel giro di qualche ora nacque Grazia, per grazia ricevuta! Aveva il cordone ombelicale estremamente legato al collo, a testimonianza dell’urgenza di anticipare di due giorni il parto.
Io, allora come oggi, mi sentivo una regina, con la mia principessa accanto. Negli anni mi ero convinta che Grazia sarebbe rimasta figlia unica. Dopo dodici anni, invece, mi ritrovai in attesa di Francesco. Quanta vitalità nella sua attesa! Non ero mai stanca, piena di energie e felicissima di questa nuova vita da mettere al mondo. Anche lui di peso superiore ai quattro chili, anche lui bello come il sole, anche lui portava in casa la sua vitalità, la sua gioia e la sua esuberanza.
Scrivere di allora è come prepararsi un’altra volta per quell’attesa. È rivivere i giorni, le sensazioni, le speranze, il chiedersi se fossi ancora all’altezza dei compiti che mi attendevano.
Essere madre, ora so che è per sempre. È vivere con loro e per loro. È svegliarsi la mattina e sapere cosa fanno, cosa li aspetta. È augurargli sempre il meglio.
Essere madre è nella telefonata, nel ragù della domenica per il pranzo insieme, nell’attesa del loro ritorno dalle vacanze, nello scartare i regali, nella sicurezza che devono sempre vivere pensando che io ci sono. Essere madre: due parole che racchiudono un mondo. La responsabilità, l’amore, l’esempio da seguire.
Siamo cresciute con modelli di mamme e donne serie, di sani principi, dedite al lavoro, all’obbedienza. Mamme che vivevano insieme, unite in famiglie patriarcali, con pochi sorrisi sulle labbra, nessun abbraccio, nessuna frase amorevole, ma con tanta dignità e semplicità.
Negli anni Settanta, invece, noi eravamo convinte di essere ‘moderne’ e pronte a comportamenti diversi nei confronti dei nostri figli. Non fu però proprio così. Anche noi con pochi ‘Ti voglio bene’, pochi abbracci e pochi ‘Raccontami di te’.
Oggi, di tante mancanze ce ne pentiamo, ma ci rimane la consapevolezza di aver donato loro il tempo di crescere bene. Quante paure per ogni linea di febbre, vaccinazione o ginocchio sbucciato. Quanto dolore per i perché letti nei loro occhi nei momenti tristi, ma quanta gioia per le loro prime esperienze, per i successi scolastici, i compleanni, la palestra, la piscina, la loro laurea. Gli abbiamo inculcato il valore della scuola, della religione e di essere sani nei principi e nei sentimenti.
La vita, però, non sempre segue un filo logico. Spesso e in varie situazioni, sono loro a farci capire che per noi ci sono sempre, e va bene anche così. È un donare e ricevere che segue il suo corso.
Oggi posso dire che quando guardo Grazia, vedo il sapere, la conoscenza, il pensiero riflessivo e puro. In Francesco, vedo la sua scalpitante vivacità, la sua intraprendenza e competenza in più campi. Ringrazio Dio che mi fa perdere lo sguardo nei loro occhi splendenti e nel loro amore reciproco, verso di noi, verso tutti e verso la vita. Oggi so di essere stata a volte anche severa, ma consapevole dell’importanza dei “No che aiutano a crescere” e penso e spero di averli cresciuti bene.
Grazia, Francesco, grazie di esserci.
Tito 20 luglio 2023.