Raccontare storie per costruire ponti. Il ritorno. 1
Raffaela Elda ci ha mandato un racconto prezioso. Non potevamo fare a meno di farvelo apprezzare.
Mi chiamo Raffaela Elda, ma tutti mi chiamano Lella
Sono nata nel 1943, quarta di cinque figli. Il 30 marzo di quell’anno, giorno in cui io nacqui, mio padre era al porto di Napoli, in partenza per l’Africa perché chiamato in guerra. La legge prevedeva che il quarto figlio dispensasse dalla chiamata alle armi, quindi la mia nascita poteva consentire a papà di tornare in famiglia ma bisognava darne urgente comunicazione agli uffici di competenza. Un parente di mia mamma si propose di partire immediatamente per Napoli per consegnare il mio certificato di nascita al battaglione comandato dal Generale Giardini, di cui papà faceva parte. Grazie a quel certificato papà venne congedato, la nave sulla quale avrebbe dovuto imbarcarsi affondò e papà era salvo per miracolo, perché quel certificato era arrivato giusto in tempo e lui aveva potuto scendere da quella nave.
Ho trascorso felice la mia infanzia, anche se non sono mancate botte, rimproveri e castighi, anche se mi sono mancate una carezza, un abbraccio, un bacio dai genitori che pensavano solo a lavorare, a come non farci mancare mai da mangiare. Ero felice perché con i compagni e le compagne giocavo per strada a castello, ai quattro cantoni, a “mazzarieddi punta e fossa”, a nascondino, a “brecce” con le cinque pietre e con i noccioli di albicocche con i quali facevamo anche il torrone! Si, il torrone con i noccioli di albicocca: li bollivamo, li curavamo cambiando spesso l’acqua e quando avevano scaricato tutto l’amaro che li caratterizza erano pronti per farne uno squisito torrone con lo zucchero.
L’anno passava aspettando il Natale perché era la festa in cui si preparavano zeppole, panzerotti, torrone con nocciole e mandorle. Il giorno della vigilia di Natale era una gran festa: a mezzogiorno si mangiavano zuppa di baccalà, peperoni all’aceto ripieni di mollica di pane condita con olio, aglio, prezzemolo, origano e acciughe, e poi sedano passato nella pastella di farina, uova e acqua e fritto. Sapori e profumi caserecci…… La sera della vigilia si preparava il soffritto di acciughe e aglio per condire i vermicelli e si consumava tutto ciò che era avanzato a pranzo; si chiudeva la cena con le noci e le castagne. Nelle famiglie più agiate la cena era più ricca e varia perché si preparavano il sughetto con cozze e anguilla, la frittura di pesce con contorno di insalata riccia e poi finocchi, cachi, mele e pere della campagna. Per il pranzo del giorno di Natale, invece, quando si poteva, si preparavano il ragù di carne per condire la pasta, la “tortiera” di carne con patate, il contorno, la frutta e i dolci.
La Befana, grande festa per noi bambini: la sera del 5 gennaio si appendeva la calza al camino, si spegneva il fuoco perché la Befana doveva scendere dal camino e se c’era il fuoco si poteva bruciare i piedi. Si preparava la tavola con un pezzo di pane, un frutto e un bicchiere di acqua: la Befana doveva mangiare e riposare perché era stanca. Al risveglio si trovava la calza piena di cenere e carbone, ma quelli veri, e poi agli, cipolle, un mandarino, qualche caramella e un biglietto con su scritto ogni anno: “hai fatto la cattiva e la Befana ti ha punita”!
Nel mese di marzo le donne a gruppi andavano a zappare i campi di grano nelle masserie dei dintorni del paese e la loro paga erano uova che rivendevano a chi le prenotava. Allora un uovo costava 7 lire! A quei tempi non esistevano frigoriferi e non c’era la scadenza, perciò, per mantenerle fresche venivamo riposte nel grano.
Aspettando la Pasqua si facevano grandi pulizie e chi poteva imbiancava pure casa. Nella Settimana Santa una famiglia dopo l’altra del vicinato aiutandosi a vicenda preparava i “biscotti” dal lunedì al giovedì. Si rompevano decine e decine di uova perché i “biscotti” si facevano una volta all’anno e dovevano durare fino alla festa della Madonna di settembre. Era un lavoraccio, ma era un momento di meravigliosa convivialità perché si beveva caffè, vino moscato che “dava alla testa” alle donne in quanto spesso digiune e, quindi, cominciavano a “sfarfallare” raccontando barzellette e tanto altro, ma era sempre una gioia stare insieme. Un pezzetto di pasta passava di mani in mani fino ad arrivare in quelle della padrona di casa, che finalmente dava forma al biscotto. Una volta pronti tutti i biscotti, venivano lessati e quando si erano raffreddati venivano riposti con cura in grossi cesti e portati al forno per la cottura. Chi prima arrivava, prima infornava e spesso si stava anche tutta la notte al forno aspettando il proprio turno, ma erano ore felici perché si cantava, si rideva, si litigava, si criticava, insomma, si era in continuo movimento. Poi, una volta pronti e freddi, per non fargli perdere la fragranza venivano conservati in sacchetti di tela che si appendevano al soffitto, difficili da prendere e lontano da mani svelte! I nostri occhi erano puntati sempre in su….., ma solo la domenica se ne prendevano 3 o 4 di quei biscotti, che venivano divisi in tanti piccoli pezzi per quanti erano i componenti della famiglia e poi distribuiti: in questo modo per qualche mese c’era anche il dolce della domenica.
Il Venerdì Santo c’era la processione di Gesù morto in braccio alla Madonna Addolorata vestita di pizzo nero, forse la più bella di tutta la Basilicata; la processione era accompagnata da adulti e bambini al suono delle taroccole. Arrivati in chiesa, Gesù veniva deposto nel sepolcro, si cantava e si faceva l’adorazione. La Chiesa era a lutto, tutti erano a lutto, infatti nelle case non si scopava e non si lavava il pavimento perché Gesù era morto.
A mezzogiorno del Sabato Santo si svegliavano le campane che suonavano a festa e a gloria perché Gesù era risorto e finalmente la domenica di Pasqua si poteva festeggiare e mangiare di tutto e di più. Ma noi già pensavamo alla Pasquetta, ci preparavamo ad andare in qualche posto nei dintorni del paese dove c’era un poco di erba a prato. Non era difficile organizzare il pranzo di Pasquetta perché portavamo semplicemente un “biscotto”, un pezzo di pizza rustica pasquale, una bottiglia di acqua con una bustina di Idrolitina per fare l’acqua frizzante e qualche frutto.
Ricordo che eravamo felici e contenti, nonostante tutto.
Tito 5 settembre 2022.